Insieme
al Dottor Raimondo Orrù, Vicepresidente Federmot, porgo, a nome
dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari in servizio
nella Repubblica i più deferenti saluti alla Onorevole Presidente
e agli Onorevoli Deputati della Commissione Giustizia, e ringrazio per
l'invito a formulare un parere sul decreto-legge 69 del 2013 completo
di proposte di emendamento già anticipate alla Segreteria della
Commissione.
Mi soffermerò in particolare
-sull’introduzione dei c.d. stagisti nei tribunali ordinari;
-sull’introduzione dei giudici ausiliari presso le corti d’appello.
L’introduzione degli stagisti attua un primo passo verso la costruzione
dell'ufficio del processo più volte vagheggiato dalla magistratura
di ruolo associata, quale imprescindibile unità organizzativa che
dia supporto al lavoro del magistrato giudicante e, riteniamo di aggiungere,
de iure condendo, del magistrato requirente.
Cosa tale ufficio del processo dovrebbe essere nella sua definitiva conformazione
è materia oggetto di un dibattito ancora aperto e, nondimeno, in
fase di maturazione piuttosto avanzata; sicché ci si sarebbe potuto
aspettare che, pur nei limiti consentiti dalla decretazione d’urgenza,
il Governo recepisse almeno quelle istanze largamente condivise dalla
magistratura ordinaria e onoraria e già compiutamente e univocamente
esplicitate dagli addetti ai lavori, i quali indicano nella piena integrazione
del magistrato onorario all’interno dell’istituendo ufficio
del processo un passaggio imprescindibile per la buona riuscita del prospettato
rilancio della giurisdizione.
Siamo consapevoli che tale integrazione meglio si prospetterebbe allorché
già fosse intervenuta una riforma della magistratura onoraria,
che ne definisca competenze e status giuridico-economico.
Comprendiamo anche che essa difficilmente può trovare posto in
un decreto-legge e, ancora più difficoltosamente, potrà
trovare spazio in una legge di conversione.
Cogliamo tuttavia l’occasione per sollecitare non solo una corsia
accelerata alla predetta riforma della magistratura onoraria, ma anche
l’accoglimento di alcuni minimi emendamenti al decreto legge 69
del 2013 che consentano, in sede di conversione, di ripristinare il parametro
di legittimità costituzionale di cui all’art. 3 della Carta
fondamentale, accordando ai magistrati onorari, per il momento, almeno
quei medesimi riconoscimenti formali che il decreto-legge prevede a favore
degli istituendi stagisti.
Proponiamo quindi di estendere ai magistrati onorari la possibilità
di accedere al concorso in magistratura dopo 18 mesi, come previsto per
gli stagisti (mentre oggi tale termine è fissato a sei anni); e
di riconoscere anche ai magistrati onorari le preferenze riconosciute
agli stagisti per l’accesso al pubblico impiego o ai ruoli ordinari
della magistratura.
Proponiamo infine, in ragione delle maggiori responsabilità devolute
al magistrato onorario, organo giurisdizionale e non di mero supporto,
di affermare espressamente l’equiparazione del servizio reso dal
magistrato onorario a quello reso da altro personale laureato delle pubbliche
amministrazioni, seppure al limitato fine dell’accesso ai concorsi
che presuppongono, quale requisito essenziale, la sussistenza di un rapporto
di servizio con la pubblica amministrazione. E’ ad esempio del tutto
irragionevole, già a legislazione vigente, che un magistrato onorario
non possa concorrere ad una pubblica selezione come dirigente pubblico,
diversamente dal cancelliere che lo coadiuva o da qualsiasi altro funzionario
di qualsiasi pubblica amministrazione.
Chiediamo inoltre che la disposizione del decreto-legge che prevede l’accesso
preferenziale degli stagisti alle funzioni di magistrato onorario, disposizione
che peraltro recepisce un suggerimento della scrivente associazione, sia
circostanziato nel senso di prevedere che, comunque, il magistrato onorario
che passi ad altra funzione onoraria abbia la precedenza sul semplice
stagista.
Infine, visto che il decreto intende promuovere una maggiore efficienza
dell’apparato giudiziario, proponiamo l’estensione dell’istituto
del trasferimento volontario di sede, già previsto per i giudici
di pace, anche ai giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori
onorari, al fine di ripristinare una effettiva libertà di circolazione
sul territorio italiano di tali lavoratori, segnalando che tale possibilità
non è differibile al momento della prefigurata riforma della magistratura
onoraria, in quanto non solo dovrebbe essere nel pieno diritto di chi
è addetto ad una pubblica funzione potersi traferire su posti liberi
in altre sedi di lavoro allorché ragioni familiari o professionali
suggeriscano tale necessità o opportunità, ma costituisce
criterio di efficiente organizzazione, di qualsiasi funzione pubblica,
favorire il benessere dei lavoratori risparmiando loro irragionevoli divieti.
Segnalo ad esempio una recente pronuncia cautelare del Consiglio di Stato
che, in asserita applicazione dell’attuale normativa, ha negato
a una magistrata onoraria il trasferimento di sede per ricongiungersi
al nucleo familiare presso un circondario di tribunale di altra regione,
peraltro avente posti liberi, nel quale risiedono una figlia neonata in
allattamento nonché il padre della bambina e marito della magistrata
onoraria, ivi obbligato a risiedere in quanto ufficiale della Marina italiana
trasferitovi d’ufficio.
Per quanto riguarda i giudici ausiliari da istituirsi presso le corti
d'appello civili, rileviamo le seguenti criticità.
Appare irragionevole accordare una preferenza ai magistrati infra-settantottenni
già titolari di pensione, in un momento in cui si dichiara di voler
promuovere l'avanzamento professionale delle giovani generazioni; le funzioni
di magistrato ausiliario dovrebbero a nostro avviso essere devolute a
professionisti più giovani e motivati e, auspicabilmente, andrebbero
riservate in via preferenziale a chi già svolge la funzione giudiziaria
onoraria presso i tribunali ordinari come giudice onorario di tribunale
o come magistrato onorario.
Così come nell'ordinamento previgente alla riforma Carotti si consentiva
l'accesso dei pretori e dei vice pretori onorari ai collegi di tribunale,
si dovrebbe oggi consentire l'accesso dei magistrati onorari di tribunale
nei collegi delle corti d'appello, seppure riservando tale opportunità
al personale della magistratura onoraria con oltre 6 anni o 10 anni di
servizio.
Tale opportunità, potrebbe essere estesa anche ai vice procuratori
con specifiche e comprovate competenze nella materia civile.
Ciò consentirebbe di sfruttare appieno professionalità oggi
sottoutilizzate, creando e difendendo quella osmosi giurisprudenziale
propria di chi frequenta stabilmente e già da tempo la funzione
giudiziaria, requisito obiettivamente non presente nel mero avvocato.
Non vorremmo infatti si ripetesse l'esperienza dei giudici onorari aggregati,
i quali, pur avendo eroso una predefinita porzione di arretrato, hanno
prodotto una giurisprudenza spesso lontana dagli insegnamenti della Suprema
Corte, disattendendo l'esigenza nomofilattica che deve costituire una
priorità assoluta di un moderno sistema giudiziario orientato alla
certezza dei rapporti giuridici ed economici.
Inutile negare inoltre che il vero collo di bottiglia della giustizia
civile è il primo grado, dove auspicheremmo un più intenso
coinvolgimento del giudice onorario, magari recependo dalla proposta di
riforma della magistratura onoraria predisposta dalla Federmot, che pure
oggi produciamo, almeno il recepimento dell'articolo 1, che descrive nuove
competenze per giudici onorari di tribunale e vice procuratori onorari
addetti a specifici progetti di abbattimento dell'arretrato.
Da notarsi, come solo criticità apparentemente secondaria, l'irragionevolezza
dell'incompatibilità tra le funzioni di giudice ausiliario e il
pregresso svolgimento della professione forense nel distretto di corte
d'appello nell'ultimo quinquennio; trattasi di una incompatibilità
di fatto retroagente e soprattutto inutile, che tende a favorire chi non
è avvocato o chi si sottoponga a onerose trasferte territoriali,
scarsamente compatibili con il sereno esercizio di una funzione tanto
delicata quale la giurisdizione di secondo grado.
Le predette considerazioni recepiscono in grande parte le conformi indicazioni
provenienti dal CSM e da componenti autorevoli dell'ANM, tra cui gli Osservatori
sulla giustizia civile e del Gruppo Civile di Magistratura democratica.
Per quanto riguarda la più generale riforma della magistratura
onoraria, cogliamo l'occasione per sollecitarne la calendarizzazione con
ogni consentita premura, pur all'esito di quei confronti in atto tra addetti
ai lavori sull'esatta portata delle soluzioni tecniche percorribili.
Essa, infatti, non è più rinviabile se si vogliono rispettare
i tempi di ragionevole durata del processo, e deve essere integrata con
l'introduzione degli stagisti negli uffici giudiziari e con la previsione
di una logistica adeguata la cui mancanza, unitamente alla assenza di
finanziamenti che rendano possibile procurarla, rende di fatto incerta
la copertura finanziaria del decreto-legge.
Un motivo in più per non sprecare i pur esigui 8 milioni di euro
annui stanziati in prebende di 200 euro a sentenza a favore di pensionati
già ampiamente gravanti sui bilanci pubblici.
I Giudici onorari di tribunale, infatti, già integrati nelle strutture
giudiziarie, costerebbero meno e produrrebbero, a saldi invariati, di
più, anche nell'ipotesi che si introducesse il pagamento delle
sentenze, in una misura che, indicativamente, potrebbe essere compresa
tra 75 Euro (l'indennità ora prevista per i giudici di pace, aumentata
di un incremento che remuneri la maggiore complessità delle materie
devolute al tribunale ordinario o alle corti d'appello) e 98 Euro (corrispondente
alla somma attualmente prevista per ogni singola udienza di durata inferiore
alle cinque ore).
Per quanto riguardo la riforma della magistratura onoraria ci sia anche
consentito citare e produrre un interessante e accorato articolo di Claudio
Viazzi, presidente del tribunale di Genova e decano della magistratura,
il quale individua nella stabilizzazione dei magistrati onorari di tribunale,
o nei ruoli del pubblico impiego, o nei ruoli ordinari della magistratura,
la necessaria soluzione all'inquadramento di una categoria la cui precarietà
costituisce un grave elemento di rottura nel sistema.
E' una tesi ancora più ardita di quella formulata dalla categoria,
che si limitava a invocare provvedimenti regolatori dello status quo,
che eliminassero le principali antinomie e ambiguità della vigente
disciplina, secondo uno schema legislativo da tempo divulgato, che per
completezza espositiva depositiamo agli atti, pur nel convincimento che
esso costituisca un possibile punto di partenza del dibattito, più
che un punto di arrivo, seppure condiviso dai magistrati dirigenti di
primari uffici giudiziari.
Il complessivo atteggiarsi del dibattito in atto tra addetti ai lavori
non doveva essere nota a chi ha prefigurato, con l'istituzione degli ausiliari
delle corti d'appello, l'ennesima magistratura onoraria, senza pensare
che il proliferare disorganico e scoordinato di figure molteplici, lungi
dal costituire una soluzione, pone serie preoccupazioni sul futuro di
una giurisdizione unica, amministrata da una magistratura che, di ruolo
o onoraria, titolare o di assistenza e supporto, si distingua, al proprio
interno, precipuamente per la diversità di funzioni.
Più coerente con le esigenze di una moderna giurisdizione è
il modello prefigurato da alcuni approfondimenti di Claudio Castelli e
di Barbara Fabbrini del 24 maggio 2013, sviluppati poi dal Gruppo civile
di Magistratura democratica in un contributo dello scorso 1° luglio,
che produciamo quest'oggi.
In tale modello si vagheggia un ufficio del processo nel quale sia contemplato
l'inserimento del magistrato onorario; inserimento che, ci permettiamo
di segnalare, potrebbe costituire l'anello di congiunzione tra il magistrato
di ruolo e altre figure, quali gli stagisti, specialmente allorché
si valorizzassero le competenze maturate da chi ha concorso proficuamente
all'esercizio della funzione giurisdizionale e intenda incrementare tale
apporto, auspicabilmente sotto la copertura di disposizioni che assicurino
una accettabile indipendenza economica che renda non più necessario
il proseguimento della professione forense o di altre attività
lavorative non facilmente compatibili con un impegno sempre più
strutturato, coordinato e continuativo all'interno del nuovo modulo organizzativo.
Tale prospettiva apparirebbe pienamente rispondente anche alle necessità
degli uffici requirenti, nei quali, già oggi, è sempre più
specialistico e tendenzialmente esclusivo l'apporto fornito dal viceprocuratore
onorario sia nelle attività processuali, specialmente monocratiche,
sia nelle indagini per reati di competenza del giudice di pace o definibili
mediante richiesta del decreto penale di condanna.
Tale tendenza potrebbe essere ulteriormente sviluppata, non necessariamente
prefigurando un ampliamento delle competenze del viceprocuratore onorario,
quanto prevedendo che esso possa operare per singole fasi o attività
investigative o processuali, sotto un più sinergico e stretto collegamento
con il pubblico ministero togato, anche con riferimento a quelle attività
di udienza o inquirenti connotate da modesta complessità o da elevata
serialità, quand'anche devolute alla competenza del tribunale in
composizione collegiale o del giudice per le indagini preliminari.
Dalle predette considerazioni si intende sollecitare una soluzione organica
e complessiva che rilanci fortemente la giurisdizione ordinaria –
soprattutto, ma non solo, civile - valorizzando le forze in campo e già
formate negli esistenti circuiti della formazione distrettuale e nazionale.
Solo questa prospettiva d'insieme ed onnicomprensiva, francamente carente
nel decreto-legge “Fare”, potrà infatti consentire
il raggiungimento di obiettivi organizzativi e, indirettamente, macroeconomici,
concreti e ambiziosi.
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